Un giorno di ordinaria magia
Vivere con una malattia rara è qualcosa che non può descriversi in mille parole.
Non è catalogabile, etichettabile, giustificabile, soprattutto se in giovane età.
Un giorno sei lì a pensare ad atti, appelli, romanzi, vacanze di Natale, tramonti in spiaggia, pomeriggi al parco, gite in bici, la formazione del fantacalcio con gli amici, il nuovo regalo alla tua fidanzata.
Il giorno dopo scrivi, leggi e parli di trombocitemia, policitemia, mielofibrosi, globuli bianchi, globuli rossi ed ematocrito, piastrine ed emocromo trimestrale. Non lo decidi tu, accade e basta.
Vivere con una malattia rara vuol dire piangere al buio quando sei solo, perché sai che ti toccherà esserlo: cavatela da solo, fratello o sorella di sangue, perché gli altri hanno da fare.
Vuol dire dover accettare, gestire, affrontare un esito incerto e ignoto e sventolare la tua esenzione 048 come se fosse un trofeo, quando invece è la tua condanna. Ma non è una condanna a morte: è un promemoria. Ti ricorda che ogni giorno devi essere grato, perché i treni si scontrano, i camion investono le folle e le macchine finiscono fuori strada, mentre tu sei ancora qui a scrivere e non hai il diritto di lamentarti. No, non ce l’hai.
Vivere con una malattia rara vuol dire renderla la tua compagna di vita, una passeggera silenziosa che forse ti sei meritato per le colpe e gli errori di gioventù, forse è sottostimata da chi ti circonda perché tutto sommato riesci ancora a sorridere e a divertirti e “dai, cazzo, non ne parlare sempre.”
I tuoi occhi non riescono a sorridere più e guardano altrove, cercano nel vuoto dell’orizzonte una risposta a quelle domande che tanti si sono fatti prima di te: perché a me?
Vuol dire guardare il soffitto in silenzio, mentre nel tuo midollo osseo le cellule fanno festa 24 ore su 24 e puoi solo pregare che puliscano per bene e rimettano tutto in ordine alla fine del party.
Vivere con una malattia rara vuol dire ritrovarla ogni momento al tuo fianco: è quell’angolo buio nei tuoi sorrisi più luminosi, è quel silenzio assordante durante gli eventi di festa, è quell’angosciante sconforto che di notte, a pancia in giù, ti fa sentire il cuore battere come un tamburo sul cuscino.
Non può servire cercare di spiegarlo, sforzarsi di renderlo comprensibile. È roba tua e basta. E così diventa difficile sognare per un’intera vita che giunga quel giorno di ordinaria magia, quel momento in cui ci si sveglia la mattina scoprendo che non è successo niente: zero asterischi.
Apri gli occhi, c’è un buon odore di caffè giù in cucina e qualcuno che ti ama è ai fornelli, due bambini sorridenti saltano sul tuo letto per darti il buongiorno e c’è un cane che scodinzola e vuole giocare in cortile con te, mentre scendi le scale senza mal di testa e ansie, trafitto dai raggi di un sole bellissimo che filtrano oltre le finestre.
Sì, quello sarebbe un giorno di ordinaria magia.
Ma nonostante tutto, a pensarci bene, lo è anche oggi.
Forse è questo che ti insegna vivere con una malattia rara: ogni giorno, in fondo, è un giorno di ordinaria magia.
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