Non smettere di brillare, mai

    «Ciao, come ti chiami?».

    «Stella».

    «... con un nome così devi per forza brillare».

    Sorrido ma con uno sguardo interrogativo

    «Eh sì, i guerrieri li identifico subito, indossi un cappellino, hai le ciglia diradate, hai un problema che riconosco».

    Non rispondo, ho un groppo in gola.

    Dopo una conversazione veloce, la signora si congeda e mi dice: «Stella, quando guarisci, devi fare una festa per onorare la fatica fatta».

    Questa signora gentile si avvicina all’entrata del supermercato davanti al quale sto aspettando mia madre con la spesa (mi è vietato entrare perché immunodepressa e quello è un covo di batteri!) e mi sbatte in faccia tutta la sua solidarietà, ottimismo e coraggio, perché sì, mi è servito tanto coraggio per affrontare quello che il 31 dicembre 2010 mi avevano diagnosticato: Linfoma di Hodgkin al 3º stadio.

    Mentre tutto il mondo si prepara ad accogliere il nuovo anno, io piango disperatamente con i miei genitori e il mio compagno che di parole di conforto, in quel momento, non ne hanno.

    Solo uno di loro mi sussurra: «Stella siamo tutti sotto lo stesso cielo, devi brillare, devi lottare, devi vivere!».

    Il nuovo anno inizia con protocolli e cure da seguire.

    La chemioterapia mi fa paura e i primi cicli di ABVD mi fanno stare male, iniziano a cadere i capelli: che colpo! Ogni volta che mi guardo allo specchio, mi spavento. Riconosco solo i miei occhi, che nella testa nuda sembrano ancora più grandi e lucidi.

    Dopo 2 cicli di terapie, la pet di riscontro dà un esito discreto ma non ottimale, quindi bisogna cambiare protocollo: devo affrontare 4 cicli di IGEV con un trapianto di midollo autologo finale.

    Inizio a entrare e uscire dall’ospedale, ad ogni ciclo di chemio corrispondono giorni di aplasia delicati e pericolosi, durante i quali non posso vedere né toccare niente e nessuno.

    Il periodo che precede l’isolamento presso il centro trapianti midollo, in una stanza asettica dove lascio il mio corpo totalmente alla cura, scorre tra momenti di sconforto e pianti disperati per l’incapacità di comprendere quello che mi sta succedendo (sono una trentaquattrenne nel pieno delle energie, vitalità e pianificazioni!) e sprazzi di felicità e sorrisi che fanno respirare la mia anima e quella del mio compagno, che è lì a sostenermi ad ogni traguardo.

    Grazie alla ricerca, alle cure, ai medici, alla mia mamma, scricciolo di donna che ho temuto di distruggere per il dolore che le stavo provocando, ma che mi ha stupita per la forza e il sostegno continuato e vigoroso, a mio padre uomo fragile e silenzioso, al mio compagno che mi ha tenuta aggrappata alla vita con amore e comprensione, a mio fratello che mi incitava con grinta, a mia cugina-amica che mai mi ha lasciata sola, alle amiche, alle colleghe e alla mia grande famiglia ce la faccio.

    Sfinita, atterro con piedi, ginocchia, mani e muso a terra, con gli occhi gonfi di lacrime, ma riesco ancora a sorridere.

    E quando torno a casa appendo un fiocco rosa fuori dalla porta :)

    La festa, poi, l’ho fatta con i capelli che ricrescevano e uno sguardo vittorioso.

    Ogni anno, a settembre, festeggio il mio secondo compleanno (sono arrivata al 7º) mantenendo così la tacita promessa stretta con la sconosciuta signora.

    Stella

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