La forza e l’amore dietro una diagnosi
Vorrei avere una macchina del tempo, viaggiare indietro fino al 2017 per parlare con la Federica del passato e dirle “Non preoccupati, andrà tutto bene!” La mia storia inizia proprio lunedì 6 febbraio 2017. Quel giorno io e mia madre lo abbiamo ribattezzato Black Monday. Mi ricoverano d’urgenza, ma non mi dicono che cosa ho. Quello che mi occupa il torace ha un nome ma forse è troppo spaventoso da pronunciare per tutti, per i medici e per le persone che mi stanno vicine. Ho quasi 30 anni, sono in un letto di ospedale e aspetto. Fingo serenità ma serena non sono, so che tutti i miei piani stanno per saltare, ma non ci voglio neanche pensare. Due giorni dopo vengo portata in sala operatoria e mi risveglio con un tubo nel torace che serve a drenare un polmone. Non mi abbatto, non posso farlo: lo devo a chi mi sta vicino e soprattutto a me stessa. Dopo qualche giorno arriva la diagnosi: LINFOMA NON HODGKIN del 4 stadio. Una forma di linfoma molto aggressiva con prognosi infausta, ma almeno adesso conosco il nome dell’intruso, della bestia che sta abusivamente occupando il mio torace e che sta succhiando ogni mia energia. Devo vincere, devo stanarlo ed eliminarlo, per sempre. Nel reparto di ematologia dell’Ospedale Cervello di Palermo imparo a conoscere il mio nemico: mi dicono che dovrò fare la chemio e la radio, che perderò i miei bei capelli lunghi e biondi, che sarò immunodepressa e che non potrò avere bambini.
Avevo sempre immaginato la mia vita con Antonio e i nostri figli. È la cosa che mi fa più male. Il nemico aveva centrato l’obiettivo. Iniziano le cure, ma io non mi sento giù. Sono sempre stata una persona positiva e anche dopo momenti di sconforto, quelli che fanno davvero toccare il fondo, riesco a risalire. Mi compro una parrucca simile ai miei capelli, mi trucco e vado avanti. Le uscite con le mie amiche diventano tazze di the e lunghe chiacchierate a casa, al riparo da tutto quello che può peggiorare la mia situazione. In ospedale, dalle persone che trovo nel reparto di ematologia ricevo un’energia bella, positiva, che quasi non mi fa avvertire gli effetti collaterali della chemio. La Dottoressa Patti e il Dottore Mulè mi guidano durante tutto il percorso, Paolo e tutti gli infermieri e i volontari dell’AIL mi coccolano e mi accudiscono con amore e rispetto. Conoscono tante persone che come me stanno lottando e da ognuna di loro imparo qualcosa. Le sedute di chemio diventano momenti di aggregazione durante i quali farsi forza a vicenda e sentirsi meno soli, meno “alieni”. Termino le cure e ad agosto del 2017 arriva la notizia tanto attesa: nessun segno di malattia. SONO GUARITA o, come dicono i medici, in remissione.
Con Antonio e i nostri amici trascorro un’estate fantastica all’insegna di viaggi, uscite e allegria e a settembre sono seduta alla mia scrivania, tornata alla mia vecchia routine fatta di scadenze e appuntamenti. I capelli iniziano e ricrescere e io mi iscrivo a un corso di yoga con le mie amiche (con pessimi risultati). Fino a questo punto la mia storia può sembrare straordinaria, ma il vero happy ending arriva qualche mese dopo. All’inizio del 2018, scopro di essere incinta e cosa ancora più incredibile di aspettare due bambini: dentro di me due piccoli cuori battono insieme al mio. Oggi io e Antonio siamo genitori di Enrico e Costanza, due bambini meravigliosi nati ad agosto del 2018, proprio un anno dopo la guarigione. Oggi le mie giornate sono scandite da impegni lavorativi, asilo, corsi di danza e di rugby, ma anche da abbracci bellissimi, sorrisi e amore sconfinato. Mentirei se dicessi che il Sig. Non Hodgkin non è più tra i miei pensieri: anche se ormai non c’è più, il nemico ha lasciato una cicatrice sulla mia pelle e nella mia anima. Racconto questo periodo che mi ha portata alla guarigione e a una nuova vita tutto d’un fiato perché è così che l’ho vissuto. Sono passata dallo sconforto più devastante, dalla paura che ti annienta alla gioia più grande: vivere e dare la vita! Ogni anno, il 6 di febbraio, io e mia madre ripensiamo al nostro Black Monday e lo celebriamo: non è stato l’inizio di un periodo brutto, ma di un percorso che mi ha portata a crescere e a diventare mamma. È per questo che voglio condividere la mia storia, augurandomi che possa aiutare a dare coraggio e speranza e chi sta combattendo la sua battaglia più dura. Dietro la diagnosi di tumore non c’è solo dolore e paura ma tanto altro: forza e resilienza, ricerca e volontariato, amore che si riceve e che si dà.
Federica
Storie di combattenti