La strada per ritornare a sognare

    Le candeline dei miei 24 anni le ho spente nel pronto soccorso, l'inizio di un lungo viaggio in cui ho contato più di 90 giorni di ricovero. In quel periodo interminabile mi sono affidata ai camici blu, bianchi e beige, alle chiacchiere, agli abbracci a distanza, alle lacrime e alle risate condivise. Ho deciso di coltivare la speranza che, giorno dopo giorno, mi ha riportata a credere nei sogni. E proprio lì, in corsia, è nata una scintilla: il desiderio di restituire il bene ricevuto. Oggi studio studio Scienze della Formazione Primaria, sogno di diventare insegnante, ma anche volontaria in corsia. Vorrei tornare in reparto come presenza che ascolta, sorride, comprende e portare questo messaggio anche nelle scuole, tra i bambini e i ragazzi, per parlare di solidarietà, dono e speranza. Questa è la strada per riacchiappare i miei sogni.

    La storia di Chiara

    Mi chiamo Chiara,

    quest'anno spengo 26 candeline ma ho compiuto 24 anni in pronto soccorso. Una mano gonfia e una tosse insistente mi avevano portata lì proprio il giorno del mio compleanno. Da quel momento è iniziato un viaggio inaspettato: il passaggio dal reparto di medicina alla sala operatoria, poi in terapia intensiva. Intorno a me, un tempo sospeso che sembrava irreale. Dopo una settimana così, sono approdata in quella che sarebbe diventata la mia “seconda casa”: il reparto di ematologia. Tutti indossavano mascherine, ma negli occhi di chi mi accoglieva leggevo sorrisi, attenzione, sensibilità.

    E mentre la vita mi dava uno schiaffo fortissimo, facendomi crollare il castello costruito in 24 anni, lì, ho iniziato a sentirmi protetta. Ho cominciato la chemioterapia e il mio “compagno indesiderato” aveva un nome: linfoma primitivo del mediastino. La prima sacca venne attaccata al mio PICC, e da lì in poi ho contato più di 90 giorni di ricovero, affidandomi ai camici blu, bianchi e beige, alle chiacchiere, agli abbracci a distanza, alle lacrime e alle risate condivise. Le visite duravano un’ora e mezza, troppo poco. E ogni volta che la porta si chiudeva, dovevo fare i conti con me stessa. Ma c’erano anche altri incontri: quelli con i volontari. Mi sentivo ascoltata, capita.

    Li aspettavo ogni giorno, sapendo che avrebbero portato parole di speranza e tempo da condividere. La piantana che inizialmente mi spaventava è diventata quasi una compagna di viaggio. Grazie alla mia famiglia, al mio ragazzo, ai miei amici, ai professionisti dell’ospedale e a me stessa ho coltivato la speranza. Una speranza che, giorno dopo giorno, mi ha riportata a credere nei sogni. Proprio lì, in corsia, è nata una scintilla: il desiderio di restituire il bene ricevuto.

    E oggi che la mia vita ha ripreso forma, porto con me il sogno di unire ciò che studio, ciò che suono e ciò che ho vissuto. Ogni volta che poso le dita sulle corde della mia arpa, sento che qualcosa dentro si muove. È come se la musica mi aiutasse a raccontare tutto questo, senza dover parlare. Studio Scienze della Formazione Primaria, sogno di diventare insegnante, ma anche volontaria in corsia, perché credo che la musica possa farsi relazione, che il suono possa diventare cura. Il mio sogno è tornare in reparto non più come paziente, ma come presenza che suona, sorride, ascolta. E portare questo messaggio anche nelle scuole, tra i bambini e i ragazzi, per parlare di solidarietà, dono e speranza. Questa è la mia storia. E questa, oggi, è la mia strada per riacchiappare i sogni.

    Ringrazio AIL per essere parte della mia strada e per ciò che ogni giorno fa per chi lotta e per chi spera!

    Sei anche tu un combattente?

    Raccontaci la tua storia