Storia di Tamara - caregiver e moglie

    Non ho una vera e propria storia del mio compito di caregiver, ma dei flash di piccole cose. I primi esami nel cestino della mia bici e le lacrime: piangevo e pedalavo, era l’unico momento in cui potevo concedermi quella domanda “Ma che medico è l’ematologo?” e la mia risposta era sempre “Che ne so io, uno come un altro, dormi”.

    Le ore infinite di attesa assieme ad altre decine di persone, sforzandomi sempre di sorridere e parlare, raccontare e di nuovo sorridere e parlare. Quella volta che in preda alla confusione ed al delirio più totale andai dal Professore minacciandolo che se non lo avesse guarito lo avrei portato anche in capo al mondo e avrei pagato qualunque prezzo; i giorni di chemio ad aspettare fuori dalla porta del bagno, impotente e disperata e gli sguardi quasi impauriti ed increduli che ci siamo scambiati quando ci hanno avvisato che c’era un donatore compatibile; la canzone allegra e stupida che cantavo a squarciagola nei 45 minuti di auto che mi dividevano dall’ospedale, 4 volte al giorno per molti mesi e quella ciotolina di gnocchi al ragù portata in reparto e divorata prima con gli occhi che con la bocca.

    Ricordo quel parlare sempre al plurale: “prendiamo” le medicine, “facciamo” gli esami, “andiamo” alla visita. Sono passati tanti anni e ora, fortunatamente, si ride di nuovo nella mia famiglia.

    Questa esperienza ci ha legato indissolubilmente l’un l’altro, così come ha legato per sempre mio marito ad un’equipe medico-infermieristica fuori dal comune e ad un giovane generoso Donatore.

    Il mio compito di caregiver è finito…ora sono solo “moglie”.

    Tamara

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