Il senso delle parole, come migliorare la comunicazione medico - paziente
UN DIZIONARIO COMUNE CHE MIGLIORI LA COMUNICAZIONE TRA MEDICI, PAZIENTI E CAREGIVER
Il medico parla di “diagnosi” e il paziente traduce “paura”; il medico dice “recidiva” e il paziente recepisce “angoscia”. Quando lo specialista accenna al “trattamento”, al paziente viene in mente “sopportazione”. Sono solo alcuni esempi di come le parole chiave in oncologia e onco-ematologia possono risuonare diversamente e vengano decodificate in modo differente da chi cura e da chi è curato. Lo specialista concentrato sulla precisione e la neutralità tecnica, il paziente condizionato da una forte componente emotiva.
Questa “interruzione comunicativa” è uno degli ostacoli che si frappongono alla comprensione reciproca e alla qualità della relazione medico-paziente, rallentando la piena comprensione dei bisogni psicosociali dei pazienti oncologici e onco-ematologici, che spesso emergono attraverso le sfumature del linguaggio.Favorire la costruzione di una lingua comune in oncologia è l’obiettivo de “Il senso delle parole – Un’altra comunicazione è possibile” una campagna di comunicazione che risponde all’esigenza di migliorare la qualità delle relazioni tra persone con tumore, medici e caregiver proprio a partire dalla parola, elemento chiave della relazione di cura.
La campagna è promossa da Takeda in partnership con AIL – Associazione Italiana contro le Leucemie-Linfomi e Mieloma Onlus; AIPaSIM – Associazione Italiana Pazienti Sindrome Mielodisplastica; Salute Donna Onlus, SIPO – Società Italiana di Psico-Oncologia e WALCE onlus – Women Against Lung Cancer in Europe e con il patrocinio della Fondazione AIOM.
Fino al prossimo 8 novembre, sulla piattaforma web www.ilsensodelleparole.it pazienti, caregiver e specialisti potranno indicare i significati che associano a un gruppo di vocaboli importanti che articolano la relazione di cura, una prima mappatura messa a punto da un gruppo di ricercatori guidati da Giuseppe Antonelli, Professore Ordinario di Linguistica italiana all’Università degli Studi di Pavia, sulla base dell’analisi del sentiment in rete, focus group con medici e pazienti e criteri lessicologici e sociolinguistici. Dalla consultazione scaturirà, sotto la supervisione di un Board tecnico-scientifico, il Dizionario Emozionale, un Atlante delle 10 parole chiave in oncologia con i significati condivisi tra specialisti e pazienti da diffondere nei Centri oncologici e nelle sezioni delle Associazioni.
INTERVISTA AL PROF. SERGIO AMADORI, PRESIDENTE NAZIONALE AIL
I FRAINTENDIMENTI TRA MEDICO E PAZIENTE DANNEGGIANO SIA L’UNO CHE L’ALTRO, COME È POSSIBILE SECONDO LEI OTTENERE FIN DALLA DIAGNOSI UNA EFFICACE “ALLEANZA TERAPEUTICA”?
La comunicazione tra medico e paziente non è sempre semplice in ematologia. Il primo approccio è cruciale, il medico deve saper trovare le parole giuste per consentire al paziente di affrontare con più fiducia il periodo che lo attende. L’obiettivo che dobbiamo sempre tener presente è quello di raggiungere una realtà il più possibile condivisa che rappresenta uno degli aspetti centrali del processo di cura, bisogna riuscire a trovare un punto d’incontro tra l’esperienza “soggettiva” di sofferenza del paziente e la visione medico-scientifica “oggettiva” del medico. Usare un linguaggio tecnico è come parlare una lingua straniera con la conseguenza che il paziente si sente più confuso e solo. La comunicazione deve essere semplice e chiara, deve servire a creare un rapporto di assoluta fiducia, deve riuscire a far emergere le preoccupazioni e i vissuti del paziente e comprenderne il più possibile i bisogni. Attraverso la buona comunicazione, che esige tempo e ascolto, possiamo costruire e mantenere nel tempo quella relazione che è alla base dell’alleanza terapeutica. Bisogna che sia i medici sia i pazienti si soffermino sin dal primo incontro a riflettere sulle parole e sui fraintendimenti che da queste possono scaturire. La verifica della corretta comprensione è importante al fine di costruire una relazione che curi, attenta all’ascolto dell’altro, delle sue emozioni, delle sue aspettative e delle sue necessità.
IL MEDICO COMUNICA LA DIAGNOSI, PER IL PAZIENTE QUESTO MOMENTO SI ASSOCIA ALLA PAURA, VUOLE DARCI UN COMMENTO SULLA BASE DELLA SUA LUNGA ESPERIENZA?
Comunicare una notizia al paziente richiede tempo e dedizione da parte del medico e l’approccio non deve mai essere banale o impersonale. L’empatia e la credibilità del clinico sono fondamentali. Nella pratica clinica il momento della diagnosi è uno shock, spesso un trauma assai forte. Il paziente è stordito, disorientato, invaso da una carica negativa che aumenta se il medico non propone le diverse opzioni terapeutiche e il percorso da seguire in modo graduale per permettere al paziente e ai familiari di metabolizzare la nuova realtà. Anche per il medico la comunicazione della diagnosi può comportare problemi, soprattutto se si tratta di dare una “cattiva” notizia perché sovente assai complesso anche per lui sopportare l’impatto e il peso emotivo del paziente. La parola che si associa a diagnosi nella mente e nella psiche del paziente è “paura”. Legata all’incertezza dell’esito, alla precarietà della sua vita, allo sconvolgimento emotivo, relazionale, sociale e lavorativo che comporta una diagnosi di tumore del sangue per se stesso e per la sua famiglia. In questi casi il medico deve scegliere con perizia le parole solo così curerà al meglio il paziente. Oggi la medicina è altamente complessa, in particolare l’ematologia oncologica. Riuscire a trovare una lingua comune semplice, chiara, empatica e al tempo stesso scientificamente coerente, è la sfida culturale forse più difficile che attende quotidianamente tutti noi medici.
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