Linfoma di Hodgkin: pembrolizumab in monoterapia può portare a risposte molto durature
Una nuova strategia terapeutica prevede l'utilizzo degli inibitori dei checkpoint inhibitor per ‘risvegliare’ le cellule del sistema immunitario e far si che le cellule malate tornino ad essere ‘visibili’ all’immunità cellulare dell’ospite bloccandone quindi la crescita incontrollata.
‘Risvegliare’ le cellule del sistema immunitario contro la malattia
Nel linfoma di Hodgkin molti meccanismi del metabolismo cellulare risultano alterati, dall’inibizione della morte cellulare all’elusione del controllo del sistema immunitario. Tali “escamotage” messi in atto dalle cellule malate contribuiscono alla loro crescita non controllata dall’organismo ospite.
Una delle vie più importanti è quella dei cosiddetti checkpoint inhibitor (inibitori dei checkpoint immunitari), che hanno normalmente il compito di regolare l’autoimmunità facendo sì che il nostro sistema immunitario rimanga sotto controllo e non aggredisca ad esempio cellule proprie. Quando questa via è alterata i checkpoint inhibitor sono attivati sulle cellule malate e questo fa si che queste cellule si nascondano al sistema immunitario dell’ospite sfuggendo al controllo dello stesso che, normalmente, le riconoscerebbe come pericolo e le eliminerebbe. In assenza di questo controllo, le cellule malate possono continuare a replicarsi e a diffondersi.
Una strategia terapeutica è quindi di utilizzare degli inibitori dei checkpoint inhibitor per ‘risvegliare’ le cellule del sistema immunitario e far si che le cellule malate tornino ad essere ‘visibili’ all’immunità cellulare dell’ospite bloccando quindi la crescita incontrollata. Uno di questi inibitori è il pembrolizumab, diretto contro il cosiddetto PD1 (programmed-death1).
Per un’efficacia a lungo termine, anche in monoterapia
Il pembrolizumab ha già dimostrato la sua efficacia nello studio di fase 2 multicentrico KEYNOTE- 087, in cui veniva somministrato per un massimo di 2 anni ai pazienti recidivati o refrattari alle terapie standard, compresi il trapianto di midollo autologo o il brentuximab vedotin, o nei pazienti non candidabili a trapianto autologo. L’efficacia a lungo termine è stata presentata recentemente in uno studio pubblicato su Blood, in cui gli autori analizzano le risposte alla terapia dopo più di 5 anni di follow-up, e inoltre valutano l’efficacia della ripresa di un secondo ciclo di terapia con pembrolizumab, una volta interrotto, se la malattia fosse tornata.
Nello specifico, lo studio riguarda la popolazione di pazienti con linfoma di Hodgkin classico recidivati/refrattari dopo almeno 2 linee di terapia; inoltre, i pazienti in remissione dopo al massimo 2 anni di terapia con pembrolizumab e in cui poi la malattia tornava erano candidati a un secondo trattamento con pembrolizumab. L’obiettivo principale era il tasso di risposte raggiunte, con un follow-up mediano di 5,3 anni.
Nello studio sono stati arruolati in tutto 201 pazienti con un’età mediana di 35 anni (IQR 18-76, 94% dei pazienti con uguale o inferiore ai 65 anni); il tasso di risposte è risultato del 71,4% (27,6% di risposte complete e 43,8% di risposte parziali), con una durata mediana di risposta di 16,6 mesi.
In particolare, una parte di pazienti (circa il 25%) ha mantenuto una risposta duratura per più di 4 anni. Fra i 19 pazienti in recidiva che già avevano ricevuto il pembrolizumab, la probabilità di avere una seconda risposta è stata del 73,7%. Il trattamento è risultato inoltre ben tollerato, in quanto la maggior parte degli eventi avversi è risultato di grado basso/moderato (1-2).
I ricercatori confermano quindi i risultati dello studio di fase 2 e concludono che il pembrolizumab in monoterapia può portare a risposte molto durature, soprattutto nei pazienti che raggiungono una risposta completa, e che queste risposte ritornano anche nei pazienti in recidiva che già ne avevano tratto beneficio.
Referenze bibliografiche
Blood 2023 Jun 15. Online ahead of print.
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37319435/