Leucemia promielocitica acuta e iperleucocitosi estrema
La leucemia acuta promielocitica (LAP) è un raro tipo di leucemia acuta mieloide e presenta due caratteristiche peculiari: in acuto è un’emergenza ematologica ma una volta iniziato il trattamento, risponde molto bene alle cure, con un tasso di remissione completa e di sopravvivenza elevati. In rari casi, le LAP presentano iperleucocitosi alla diagnosi e vengono classificate ad alto rischio per una maggiore possibilità di complicanze acute e una minor risposta alle terapie. Uno studio recentemente pubblicato su Blood, da prendere con le dovute cautele, dà nuove speranze per i pazienti con iperleucocitosi.
La leucemia acuta promielocitica (LAP) è un raro tipo di leucemia acuta mieloide e in questo campo gli studi condotto dai ricercatori italiani sono sempre stati di grande importanza. Basterà ricordare che il GIMEMA, Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto, si è reso assoluto protagonista a livello mondiale nella ricerca clinica per la sua cura e oggi la LAP è curabile addirittura senza chemioterapia, con tassi di risposta alla terapia prossimi al 100%. Sin dagli anni ’70 e ’80 del secolo scorso il gruppo, coordinato dal Franco Mandelli, ha dimostrato, grazie alle sue ricerche cliniche, che da questa malattia si può guarire con l’utilizzo di farmaci specifici. E nel 2013 il lavoro coordinato da Francesco Lo Coco, allora coordinatore del gruppo di studio sulla Leucemia Promielocitica del GIMEMA e purtroppo prematuramente scomparso nel 2919, ha dimostrato per la prima volta come i pazienti con LAP possano essere curati senza ricorrere a farmaci chemioterapici con tutti i vantaggi in termini di qualità di vita per il paziente.
La LAP presenta due caratteristiche peculiari: in acuto è un’emergenza ematologica, poiché se non trattata sviluppa in poco tempo complicanze emorragiche e trombotiche molto severe; ma, una volta iniziato il trattamento, risponde molto bene alle cure, con un tasso di remissione completa e di sopravvivenza elevati.
In rari casi, le LAP presentano iperleucocitosi (cioè 10 × 10⁹ globuli bianchi/l) alla diagnosi, e in questo caso vengono classificate ad alto rischio per una maggiore possibilità di complicanze acute e una minor risposta alle terapie.
La terapia di supporto precoce aggressiva per ridurre le morti precoci
Uno studio recentemente pubblicato su Blood Advances ha analizzato le caratteristiche dei pazienti con LAP e iperleucocitosi estrema alla diagnosi (≥100 × 10⁹ globuli bianchi/l), realtà per la quale gli studi sono poco numerosi in quanto la casistica è piuttosto scarsa (circa 1,5% dei pazienti in grandi trial sulla LAP). Nonostante ciò, rappresentano dei casi molto delicati che richiedono maggiori informazioni e più attente analisi: lo studio in questione, multicentrico e internazionale (ha coinvolto 17 ospedali di 5 paesi), si è concentrato quindi sulle caratteristiche e sull’outcome di questo setting particolare di pazienti.
In tutto sono stati analizzati 37 pazienti su un periodo di quasi 25 anni (1996-2020), con una conta media di globuli bianchi di 124 × 10⁹/l e un follow-up mediano di quasi 5 anni. Come caratteristico delle forme severe di questa malattia, alla diagnosi la maggior parte dei pazienti (94%) presentava alterazioni della coagulazione, soprattutto sanguinamenti o riduzione del fibrinogeno; una frazione abbastanza elevata (24%) manifestava invece eventi trombotici. Dal punto di vista molecolare, la maggior parte dei pazienti ha mostrato l’alterazione classica della LAP, ovvero la traslocazione 15;17, associata alla mutazione FLT3-ITD nel 30% dei casi. Tutti i pazienti hanno ricevuto il trattamento d’attacco standard della LAP, ovvero l’acido trans-retinoico (ATRA), e il 41% ha ricevuto – in associazione – anche il triossido di arsenico (ATO).
Il 19% dei pazienti (7 pazienti in totale) è andato incontro a mortalità precoce (cioè entro 30 giorni dalla diagnosi), dovuto soprattutto a eventi emorragici/trombotici severi (emorragie cerebrali, ictus ischemici); tutti gli altri sono andati in remissione di malattia.
La sopravvivenza a 5 anni è risultata del 76%, mentre la sopravvivenza libera da malattia è stata dell’81%. Andando ad analizzare i sottogruppi di pazienti, la sopravvivenza è risultata migliore nei pazienti con diagnosi di LAP fatta meno di 10 anni fa (verosimilmente per un miglioramento delle terapie specifiche e di supporto negli ultimi anni) e nei pazienti che hanno ricevuto l’ATO, che al momento rappresenta la terapia standard nei pazienti a rischio basso-intermedio, ma non è ovunque utilizzato nei rischi elevati.
Gli autori sottolineano quindi che in tali pazienti è auspicabile una terapia di supporto precoce aggressiva per ridurre le morti precoci, così come l’inserimento dell’ATO in terapia per aumentare la sopravvivenza.
Si fa notare che un numero di 37 pazienti in un periodo di tempo così lungo riflette un possibile significativo bias di selezione nell’analisi di questi dati. E’ possibile che una percentuale di pazienti ben superiore al 19% possa presentare un esito clinico infausto a breve termine. Per questa ragione, è molto importante che questi dati possano trovare conferma o parziale correzione da studi clinici ulteriori
Referenze bibliografiche
Blood Adv. 2023 Jun 13;7(11):2580-2585
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/36075018/
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