LMA nel paziente anziano: una possibile alternativa alla chemio intensiva

Un recente studio di fase III pubblicato su Lancet Haematology ha arruolato nell’arco di 5 anni (2014-2019) 606 pazienti E ha dimostrato che nei soggetti anziani con leucemia mieloide acuta la terapia di induzione con solo decitabina mostra un profilo di sicurezza migliore rispetto alla chemioterapia intensiva. Scopri di più sui risultati della ricerca.

LMA e paziente anziano: un nuovo studio

Un nuovo approccio per il paziente over 60

La chemioterapia ad alte dosi rappresenta la terapia standard per il trattamento dei pazienti con leucemia acuta mieloide (LAM), eventualmente seguita da trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Molti pazienti di età più avanzata tollerano male la chemioterapia intensiva, spesso sviluppando tossicità che impediscono l’accesso alla procedura trapiantologica.

Un recente studio di fase III pubblicato su Lancet Haematology si è concentrato sulla possibilità di sostituire la chemioterapia intensiva classica con un agente ipometilante. Si tratta della decitabina somministrata in monoterapia per via endovenosa. L’obiettivo dello studio era verificare se i pazienti potessero trarre un beneficio, in termini di minore tossicità e quindi più frequente accesso al trapianto, da un approccio terapeutico meno intensivo della chemioterapia convenzionale.

Si tratta di uno studio randomizzato multicentrico, che ha coinvolto più di 50 ospedali in tutta Europa. I pazienti candidati a partecipare erano persone con un’età ≥60 anni, nuova diagnosi di LAM e potenzialmente eleggibili a chemioterapia intensiva. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere la chemioterapia standard (il “3+7”, che prevede un ciclo di induzione con 3 giorni di daunorubicina e 7 giorni di citarabina, seguito da 1 o più cicli di consolidamento) oppure più cicli di decitabina endovena (primo ciclo di 10 giorni, seguito da cicli da 5 o 10 giorni). I pazienti eleggibili procedevano poi a trapianto di cellule staminali ematopoietiche.

I risultati dello studio

Nell’arco di 5 anni (2014-2019) sono stati arruolati 606 pazienti: 303 hanno ricevuto decitabina e 303 sono stati sottoposti a chemioterapia intensiva. L’età mediana era 67 anni nel gruppo decitabina e 68 anni nel gruppo 3+7 e la maggior parte dei pazienti aveva una LAM a rischio intermedio-alto di recidiva, e pertanto candidabili al trapianto.

Con un follow- up mediano di 4 anni, i ricercatori hanno osservato una sopravvivenza globale del 26% nel gruppo decitabina e del 30% nel gruppo chemioterapia, non riscontrando quindi una differenza statisticamente significativa fra i due tipi di terapia (p = 0,68). Una numero sovrapponibile di pazienti è riuscita a procedere a trapianto di midollo (40% dei pazienti nel braccio decitabina e 39% di quelli nel braccio 3+7).

Dal punto di vista della tossicità è stata evidenziata una migliore tollerabilità e una minor incidenza di complicanze nel gruppo decitabina, in particolare per quanto riguarda gli eventi infettivi di grado moderato/severo, la mucosite orale e gastrointestinale e la tossicità ematologica.

I ricercatori hanno quindi concluso che, nei pazienti con età superiore a 60 anni, la decitabina non ha mostrato un aumento della sopravvivenza generale rispetto alla chemioterapia standard, ma ha invece mostrato un migliore profilo di tossicità. Per questo, la decitabina potrebbe essere considerata una valida alternativa terapeutica in questo gruppo di pazienti, recando uguale efficacia e migliore tollerabilità, soprattutto nel sottogruppo dei più anziani (>70 anni) e in quello con citogenetica avversa o con alterazioni cromosomiche aggiuntive.

Referenze bibliografiche

Lancet Haematol 2023;10(11):e879-89

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/37914482/