Leucemia acuta mieloide: modulare la terapia a lungo termine in base alle risposte ottenute

Gli autori di un recente studio di fase II pubblicato sulla rivista Haematologica si sono chiesti se, per i pazienti affetti da Leucemia Acuta Mieloide non candidabili a chemioterapia intensiva ad alte dosi, fosse possibile modulare la terapia a lungo termine in base alle risposte ottenute, dopo un primo periodo di trattamento più intensivo. Leggi i risultati qui.

Leucemia acuta mieloide: modulare la terapia a lungo termine

LO STANDARD DI CURA PER CHI NON È CANDIDABILE A CHEMIO INTENSIVA

Negli ultimi anni, lo standard di cura nei pazienti con leucemia acuta mieloide (LAM) di nuova diagnosi che non sono candidabili a una chemioterapia intensiva ad alte dosi (sia per età, sia per la presenza di comorbilità) è rappresentato dall’associazione di un farmaco ipometilante, l’azacitidina, al venetoclax, un inibitore di una proteina coinvolta nella sopravvivenza delle cellule leucemiche chiamata BcL2. Il venetoclax ha il vantaggio di esser somministrato per bocca. Questa associazione ha permesso di raggiungere buoni risultati in termini di frequenza di risposte superiori rispetto a quelle ottenute con gli ipometilanti da soli. Al momento, questa terapia di combinazione si somministra in maniera continuativa, in cicli mensili, fino a quando è in grado di controllare la malattia, o finché non insorgano effetti collaterali significativi.

IL NUOVO STUDIO

Gli autori di un recente studio di fase II pubblicato sulla rivista Haematologica si sono invece chiesti se fosse possibile modulare la terapia a lungo termine in base alle risposte ottenute, dopo un primo periodo di trattamento più intensivo, cercando di interrompere l’azacitidina in modo sicuro e definitivo dopo aver raggiunto una risposta profonda. Hanno, inoltre, analizzato se dosi maggiori di venetoclax fossero più efficaci e ben tollerate. Per fare ciò, i ricercatori hanno arruolato 42 pazienti anziani con LAM di nuova diagnosi, che hanno ricevuto venetoclax alla dose di 600 mg (rispetto alla dose classica di 400 mg), associato ad azacitidina sottocute. Dopo 1-3 cicli di questa terapia, i pazienti sono stati destinati a ricevere una terapia di “mantenimento” in base alla risposta ottenuta.

I pazienti in risposta e senza traccia di malattia secondo le tecniche standard a oggi disponibili – i cosiddetti MRD (malattia minima residua) negativi – ricevevano solo venetoclax per bocca alla dose di 400 mg, sospendendo l’azacitidina; i pazienti con persistenza di una traccia di malattia attiva (i cosiddetti MRD positivi), continuavano la combinazione di azacitidina e venetoclax, quest’ultimo ridotto però alla dose di 400 mg.

I RISULTATI

Il tasso di risposta generale alla terapia è stato del 66,7%, con un tasso di risposta profonda (MRD negatività) del 64%.

I ricercatori hanno osservato che:

  • Dosi più alte di venetoclax (600 mg) hanno un profilo di tossicità simile a dosi più basse (400 mg), ma non apportano un significativo miglioramento della risposta clinica della malattia alla terapia;

  • Una strategia guidata dall’MRD per interrompere l’azacitidina non ha portato a una risposta più duratura, né a una maggiore sopravvivenza libera da malattia, né a un aumento della sopravvivenza globale, rispetto a un approccio di sospensione dei farmaci non guidato dall’MRD.

  • Gli autori concludono sottolineando che è quindi necessario investigare su altre strategie per ottimizzare la riposta e la sospensione della terapia e, per alcuni pazienti, de-intensificare il trattamento con azacitidina-venetoclax, col fine di trovare il trattamento più appropriato e meglio tollerato da ciascun paziente.

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